(dell'inviato Alessandro Castellani) ROMA, 30 LUG - Il paese più ricco del mondo contro quello più povero, con la più alta mortalità infantile e dove si sopravvive con 1 euro e 90 cent al giorno. Usa-Sud Sudan di domani al Pierre-Mauroy di Villeneuve-d'Ascq, periferia di Lilla, non è solo una partita di basket; va molto al di là e in fondo spiega cosa siano, e significhino, le Olimpiadi.
E' la sfida tra le stelle multimilionarie della Nba e coloro che si sono autodefiniti "una banda di rifugiati che si ritrovano per qualche settimana all'anno, e cercano di fare del loro meglio per poi sfidare i più forti al mondo". E' il match tra Lebron James, Kevin Durant e Stephen Curry, che giocano sempre in impianti megagalattici pieni di gente, e un paese che prima del 2011 nemmeno esisteva e dove c'e' un solo campo al coperto. "Un anno fa ci allenavamo all'aperto, in campi allagati, oppure con le aquile che ci sorvolavano minacciosamente", ha raccontato - tanto per far capire la situazione - coach Royal Ivey, ex playmaker nella Nba e anche ex compagno di Durant nel team dell'Università del Texas. Prima di lui c'era Jerry Steele, allenatore di college poi diventato una specie di 'predicatore' che cerca di promuovere il basket nei paesi più disagiati e in passato ha lavorato anche in Iraq e Siria e allenato la Palestina.
Il merito del Sud Sudan all'Olimpiade è anche suo, così come di Luol Deng: lui è un ex Bulls, Miami e Lakers, due volte All Star, ma anche uno che non ha mai dimenticato le proprie radici e per questo, dopo aver fondato la federbasket del paese da cui fuggì da bambino, da 4 anni finanzia di tasca propria il progetto basket del Sud Sudan: "paga tutto lui: palestre, hotel, pasti, biglietti aerei", ha raccontato Ivey.
Questa nazionale, che il coach descrive come "il mio raggio di luce", nel torneo olimpico ha già battuto Portorico e ora sfida il Dream Team americano. Ma ai Giochi ha rischiato di non esserci perché nel torneo africano di qualificazione tutta la squadra contrasse il Covid e dovette ritirarsi. Ripescato per il forfait dell'Algeria, il Sud Sudan è poi andato ai Mondiali dove battendo l'Angola ha conquistato l'accesso alle Olimpiadi come miglior africana, realizzando il sogno della squadra del "paese che molta gente nemmeno sa che esiste", come dice Wenyen Gabriel, giocatore anche lui 'tornato a casa' dopo l'esperienza al Maccabi Tel Aviv. Per la quale nell'esordio all'Olimpiade hanno suonato l'inno sbagliato, quello dell'altro Sudan. Insieme a Gabriel in campo vanno un altro ex Nba, Carlik Jones, nato in Ohio ma di origini sud sudanesi, qualche partita con Dallas e Chicago, poi al Partizan Belgrado, e gente che a livello di club gioca in Cina, Uganda e Australia, e ora dovrà reggere la forza dell'uragano Usa. E' il bello dell'Olimpiade: se succedesse l'imprevedibile un'altra pagina di storia (o forse di fantascienza) sarebbe scritta.